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Metapolitica è Mistica

 

 

A volte navigando in Rete sembra di essere tornati agli anni Venti. Basta dare un’occhiata veloce su Facebook e si è immediatamente inondati da immagini del Duce, croci celtiche, rune e similia. Migliaia di utenti che si dichiarano fascisti ed inneggiano a Benito Mussolini. Ma siamo proprio sicuri che queste persone siano realmente fasciste e non piuttosto che si sentano solamente tali? Se prendiamo l’esempio storico degli squadristi, dei combattenti della Repubblica Sociale o dei valorosi ragazzi francesi che hanno continuato a difendere Berlino anche dopo la morte dell’Imperatore, non possiamo che guardare con disappunto a chi oggi utilizza questa etichetta. Detto questo, noi militanti politici, in pieno XXI secolo dell’era volgare, cosa possiamo fare per tentare quanto meno di essere fascisti, cercando di avvicinarci il più possibile alle eroiche figure prima indicate?

 

Intanto potremmo partire da noi stessi e cercare modelli da imitare nel nostro passato ed appartenenti al nostro campo politico. Pensiamo ad esempio alla Scuola di Mistica Fascista, fondata nel 1930 su volontà di Niccolò Giani e di un gruppo di universitari appartenenti al GUF. L’obiettivo era molto semplice e allo stesso tempo ambizioso: forgiare la futura classe dirigente del Pnf sui principi-base dell’attivismo volontaristico e della fiducia piena ed incondizionata nel Duce e nella missione civilizzatrice del Fascismo. L’importanza di questa scuola fu riconosciuta dallo stesso Mussolini: “Il fascismo deve avere i suoi missionari, cioè degli uomini che sappiano convincere alla fede intransigente e combattere fino all’estremo sacrificio per la propria fede. Ogni rivoluzione ha tre momenti: si comincia con la mistica, si continua con la politica, si finisce con l’amministrazione. Quando una rivoluzione diventa amministrazione si può dire che è terminata, liquidata...”.
E dato che questi mitici non erano semplici parolai, insegnanti e studenti partirono tutti volontari allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Molti trovarono la morte durante il conflitto, come il fondatore Giani e i docenti Pallotta e Ricci, motivo per cui la stessa Scuola cessò definitivamente ogni attività nel 1943. Il loro esempio però è ancora vivo ed il decalogo da loro redatto è ancora di estrema attualità. Basti pensare a quanto scritto nel punto 1: “Non vi sono privilegi, se non quello di compiere per primi la fatica e il dovere”. Quanta distanza dal mondo attuale, dove tutti sono pronti a reclamare diritti senza mai parlare di doveri!
Sappiamo che molti, anche nel nostro campo politico, storceranno il naso leggendo questo articolo. Ad esso risponderanno con parole come pragmatismo, realismo ecc. ecc. Ma proprio questo dimostrerà la loro incapacità di comprendere l’esempio storico da noi proposto. Niccolò Giani ed i suoi camerati non erano degli esaltati fuori dal mondo. Anche prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale erano duramente impegnati nella lotta politica, con la consapevolezza che il Fascismo potesse ambire a qualcosa di più ma ben sapendo che la Rivoluzione, per realizzarsi completamente, aveva bisogno di un lungo e continuo cammino, fatto anche di compromessi tattici ma con una strategia ed un obiettivo ben precisi: la realizzazione dell’Uomo Nuovo, che altro non era che la ri-generazione dell’antico Romano e dei suo valori stoici.
Ripartiamo perciò dai principi della metapolitica, necessaria per intersecare, in noi stessi, l’asse del Divenire, cioè l’insieme delle azioni quotidiane, con l’asse dell’Essere, cioè lo Spirito trascendentale in grado di dare un senso a ciò che facciamo, rendendolo immortale. In caso contrario, l’alternativa è una sola: essere già vermi prima ancora di essere diventati cadaveri.

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