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A CHI DARE DA MANGIARE

 

Per questa volta ho scelto un argomento quasi pop, per proseguire in quello che vorrei sia un percorso organico.
La seguente storiella gira online da diverso tempo, e non brilla per trama o struttura, ma il finale funziona – e poco non è.
Che sia veramente di origine Cherokee, o meno è irrilevante, che sia figlia delle solite baracconate da social network, ancora meno.
Il bello in questa storiella, è come vengono sintetizzati almeno 3 Principi cardine con una facilità tipica delle storie per bambini, e con la semplicità necessaria per avere, oggi, una buona comunicazione online.
L’abilità di sintesi sta nel mettere l’enfasi su un aspetto particolare, a cui chiunque si trovi a leggere questa storiella, non può che essere sensibile, perché è semplice e alla portata.
Non si tratta di innate abilità divine, nemmeno di idealizzate facoltà acquisite con il sudore di addestramenti mitologici. No, è solo la banale, scontata, noiosa, migliorabile, abilità di scegliere.


Sì non scrivo facoltà, o diritto di scegliere, ma abilità, perché è di questo, che in questa sede, andremo a trattare. L’Abilità è qualcosa che si può acquisire con impegno, disciplina, dedizione, determinazione, e tutte quelle caratteristiche di cui siamo soliti ciarlare, ma difficilmente riusciamo ad applicare con gioia e piacere sottile. Spesso facciamo emergere una buona dose di masochismo e riversiamo su noi stessi la frustrazione dei nostri insuccessi o dei nostri malesseri, torturandoci con formalismi o esercizi che chiamiamo disciplina, dedizione, servizio ecc. ecc. ma che con questi concetti hanno poco da spartire nella sostanza.
Sì perché spesso manca alla base una considerazione sul contesto all’interno del quale ci muoviamo e sull’obiettivo a cui la supposta disciplina dovrebbe condurci. Questa storiella da poco, lo mostra!
Il primo sintomo che ci avvisa se stiamo sterilmente abusando di noi stessi, e non conducendo un percorso formativo, sta nella presenza o nell’assenza di piacere.
Urge fare una bella distinzione tra il gusto morboso pulsionale, un po’ bavoso, di approcciare un argomento o un percorso, e il sottile piacere, che rafforza indissolubilmente una nostra volontà, un nostro percorso o appunto una nostra scelta.
Il gusto è quello che ci fa vivere dalle sensazioni, dalle pulsioni, dai capricci, quello che non conosce misura, quello che ci divora non troppo lentamente, quello che non scegliamo, ma da cui ci facciamo scegliere, cedendo.
Il piacere invece è quello scaturisce da una scelta, che ti permette di vivere delle sensazioni e non esserne vissuto, quello che aumenta il discernimento uccidendo il giudizio, quello che non scaturisce da sterili ragionamenti fini a se stessi, ma irrompe prepotente nelle intuizioni figlie della quiete mentale.
Il gusto invece prolifica nell’ostinatezza di ripetere passivi processi malsani, per la mente, per il cuore, e per il fisico.
Il piacere è quello che viene auspicato da qualsiasi Tradizione, antica o più recente, il gusto è quello che viene condannato da qualsiasi cultura.    
Il piacere è sempre figlio di una scelta, e aumenta con i successi, ovviamente, ma anche con la costanza di ripetere il processo che lo produce.
La questione della costanza è dura. Alla lunga vince il gusto, caotico, e insano, ma di immediata portata. Il piacere è invece ordinato, e fresco, ma è un ambitissimo premio per chi si dedica alla sua ricerca.
La cosa bella è che la ricerca del piacere , è già di per sé soddisfacente, ti distingue, non necessita particolari qualità se non una serena volontà  e un interesse che da qualche tempo mi fa pensare essere l’unico vero discrimine in questo tempo dove la bussola è impazzita.
Non ho detto nulla sul contesto a cui accennavo poco sopra, perché forse rischio di essere frainteso, perché siamo soliti immedesimarci con l’eroe, con il cattivo, con l’attore.
Perché forse cambia tutto… Se tu fossi il campo di battaglia? Se tu fossi il contesto all’interno del quale il piacere e il gusto si contendono lo spazio vitale? Se fossi tu il luogo dove Ordine e Caos si scontrano da tempo immemore? E se tu fossi anche il Re che può dare l’alloro al vittorioso? Chi sceglieresti?
E il bello è che tutto, in ogni momento, è nelle tue mani, scegli in ogni momento a chi dare da mangiare.
 
"La storia indiana dei due lupi
Si narra di un vecchio Cherokee seduto davanti al tramonto con suo nipote.
Il bambino chiede: “Nonno, perchè gli uomini combattono?”
Il vecchio, gli occhi rivolti al sole calante, al giorno che stava perdendo la sua battaglia con la notte, parlò con voce calma. “Ogni uomo, prima o poi, è chiamato a farlo. Per ogni uomo c’è sempre una battaglia che aspetta di essere combattuta, da vincere o da perdere. Perchè lo scontro più feroce è quello che avviene fra i due lupi.”
“Quali lupi nonno?”
“Quelli che ogni uomo porta dentro di sé.”
Il bambino non riusciva a capire. Attese che il nonno rompesse l’attimo di silenzio che aveva lasciato cadere fra di loro, forse per accendere la sua curiosità. Infine, il vecchio che aveva dentro di sé la saggezza del tempo riprese con il suo tono calmo.
“Ci sono due lupi in ognuno di noi. Uno è cattivo e vive di infelicità, paura, preoccupazione, gelosia, dispiacere, autocommiserazione, rancore e senso di inferiorità.” Il vecchio fece di nuovo una pausa, questa volta per dargli modo di capire quello che aveva appena detto.
“E l’altro?”
“L’altro è il lupo buono. Vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fede.”
Il bambino rimase a pensare un istante a quello che il nonno gli aveva appena raccontato. Poi diede voce alla sua curiosità e al suo pensiero.
“E quale lupo vince?”
Il vecchio Cherokee si girò a guardarlo e rispose con occhi puliti.
“Quello a cui dai da mangiare."

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