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DEFINIRE IL COMUNISMO

 

Saper riconoscere le qualità o i meriti di un avversario è sempre un segno di spirito cavalleresco e di onestà intellettuale, anche comprenderene le motivazioni o il punto di vista può risultare utile. Molto diverso è finire per provare una sorta di fascinazione frutto soprattutto della sua azione psicologica, ancor peggio non saperne cogliere le eventuali metamorfosi o le sue nuove manifestazioni, o credere che non esista più e non possa più manifestare, anche con altre forme, la sua pericolosità. Queste note non hanno la pretesa di risolvere una questione, che non è affatto nominalistica, e che si presenta in tutta la sua complessità, quella del comunismo e del sovvervisismo, intesi non solo come forme storiche organizzate, ma come ininterrotta affermazione dello spirito ultrademocratico borghese e della logica dell'oltranzismo egualitarista.
Sarebbe facile, per non dire semplicistico, citare i passi in cui Evola individuava una sorta di coincidenza fra capitalismo e comunismo, come risulta altrettanto facile sostenere che il comunismo non esiste più dal 1989, ma in realtà si usa spesso un termine, quello di comunismo, intendendo concetti anche diversissimi, e riferendosi, per negarlo o affermarlo, ad aspetti ed esperienze del passato. Sono esistiti un comunismo utopistico, di guerra, comunismi nazionali e settarismi vari, con interpretazioni diverse e contraddittorie tipiche di tutte le religioni.

È esistita ed esiste una metodologia, come pure una prassi politica, che si sono rivelate efficienti tecniche di conquista e gestione del potere, questo soprattutto grazie al genio di Lenin, che, come ha sostenuto Nolte, realizzò la dottrina marxista utilizzando anche il pensiero di Nietzsche o comunque facendone propri certi presupposti.
Ci sono tuttora militanti che al solo sentir parlare di comunismo si inalberano, altri che sono venuti almeno a patti con l'idea comunista, e naturalmente sarebbe assurdo dare agli uni piuttosto che agli altri la patente della purezza ideologica anche perchè, nonostante sia gli uni che gli altri partano da precise e concrete esperienze politiche e personali, forse a volte di quella parola condividono solo il suono. Non si potrà mai negare il coraggio e la coerenza di centinaia di migliaia di militanti impegnati per una causa e pronti a dare la vita per essa, ma la questione non riguarda solo il ricordare che tanti altri hanno contribuito a creare regimi sanguinari e oppressivi, o il negare che alla base di quell'idea ci sia anche una condivisibile, seppur distorta, idea di gisutizia sociale. Tanto meno ci si può astenere da un confronto con il leninismo e da uno studio e un utilizzo di alcuni suoi aspetti e principi, perchè, nonostante siano trascorsi decenni dall'elaborazione dei suoi concetti e il mondo odierno disti anni luce da quello degli albori del bolscevismo, quei principi conservano una loro intrinseca validità, soprattutto esprimono una volontà di potenza non diversa da quella del solitario di Sils-Maria.
Spostando anche solo un attimo lo sguardo su quello che si potrebbe chiamare pianeta Cina bisognerebbe chiedersi, a prescindere dalle interpretazioni dogmatiche e settarie, come abbia potuto prodursi quel colossale e mostruoso ibrido fra collettivismo, capitalismo di stato, partito unico e turbo-capitalismo. A fronte di fenomeni e realtà così diverse e lontane viene dunque da chiedersi se sia possibile una discussione concreta che si basi esclusivamente su aspetti nominalistici e non vada mai oltre slogan di facciata.
Così, negli anni Ottanta e Novanta, quando le singole realtà nazionali conservavano ancora una loro identità specifica, il concetto stesso di nazionalcomunismo, sebbene poco gestibile sul piano propagandistico, aveva una sua validità e dignità sia politica che linguistica, legandosi a situazioni concrete come quella cubana, rumena o serba. Nel contempo, lo scorrere del tempo e studi sempre più nuovi e aggiornati, hanno consentito uno sguardo più distaccato e meno unidirezionale, in presenza di fenomeni come l'omologazione e la standardizzazione culturale, la permanente complicità di una certa intelligentsia, la commistione e la compenetrazione tra l'alta finanza e una sinistra anche estrema, il tutto naturalmente unito anche dal collante di un antifascismo immaginario alla Roosevelt o alla Churchill, sempre riciclatosi e rinnovatosi fino a porsi alla base della stessa giustificazione dell'invasione e della politica sostituzionista. Nella stessa microfisica del sottopotere coloniale della provincia Italia, fece a suo tempo effetto sentire un segretario della sinistra entusiasmarsi al telefono all'idea di possedere una banca. C'è insomma da studiare e analizzare tutta una storia che parte dai finanziamenti statunitensi alla rivoluzione bolscevica e passa per la presenza di insospettati settori della CIA egemonizzati dalla sinistra. È una sinistra che se non insegue più l'utopia marxiana ne sta cercando di realizzare una serie di presupposti. Oggi un certo sovversivismo, lo si chiami o no comunismo, prospetta, col beneplacito o l'indifferenza delle classi dirigenti e dei media, l'abolizione di qualsivoglia forma di differenza, e anche se non è facile distinguere se in questa sorta di dance macabre guidi le danze l'egualitarismo di matrice borghese o quello comunistoide resta chiaro che la direzione è verso il baratro.
In realtà la presunta morte delle ideologie non ha sancito il trionfo del solo liberismo, mentre l'analisi dell'affermazione jahdista meriterebbe un discorso a parte, ma ha visto una nuova, sconcertante mutazione genetica di un qualcosa che forse non si chiama più comunismo ma ne è quanto meno la forma più spuria e tuttavia diffusa, forse non l'unica ma sicuramente una delle componenti più subdole e potenti del'ideologia mondialista. Da questo punto di vista andranno pertanto sempre più approfondite le analisi storiche del terrorismo internazionale, del potere finanziario e dello stesso intreccio fra esoterismo massonico e cultura esoterica della sinistra storica.  
                

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